Limbadi.
La biblioteca dell’Associazione Culturale Salvatore Corso Editore chiude i
battenti. Dopo tre anni di attività <<non ci sono più risorse per
mandarla avanti>>, rimarca Stefano D’Apa, uno dei padri della struttura. Quest’ultima
è nata grazie alla collaborazione, infatti, tra il medesimo e la Corso Editore,
che ha donato circa trentacinquemila volumi, ed ha già tre anni di attività
sulle spalle. Ha ospitato la presentazione di diversi volumi, soprattutto di
giovani autori, ed ha goduto del “battesimo” culturale di uno scrittore di
successo come Santo Gioffrè. Autore, tra gli altri, di Artemisia Sanchez, dalla
cui storia è stata tratta l’omonima fiction della Rai. Ma è stato di casa anche
il critico letterario Pino Neri ed altri intellettuali. Chiaramente non è tanto
la storia che interessa, della biblioteca in questione, ma il fatto che allo
stato attuale a Limbadi non ne esista nessuna. <<Non voglio lamentarmi
–dice D’Apa- ma esprimere il mio rammarico e la mia rabbia, perché pare che qui
le manifestazioni culturali si
esauriscano nella festa del Santo Patrono>>. Si è avuto modo di
magnificare, con dati obiettivi, la propensione del contesto alle attività
produttive e ad una certa creatività imprenditoriale, cosa che non dovrebbe
escludere affatto l’attenzione alla pubblica fruizione della “cultura”. Tutti
sapranno che i libri hanno un costo, non elevatissimo, ma che può talvolta
rappresentare un ostacolo per chi ha voglia di sfogliarne uno, soprattutto in
giovane età. Senza ovviamente stare lì a selezionare tra edizioni e traduzioni
diverse, e senza privarsi di un certo apparato critico che consenta di
approcciare il testo nella maniera migliore. A questo una biblioteca dovrebbe
servire, oltre che ad essere potenzialmente un luogo dove una comunità può
elevarsi, respirare aria ed idee nuove. L’iniziativa della Salvatore Corso può
aver forse scontato, senza infingimenti, l’attivismo politico, assolutamente
meritorio oltre che legittimo, di D’Apa, che in una comunità di quattromila
anime può contribuire ad una sorta di effetto parcellizzante di una simile
impresa. D’altro canto il nostro ci aveva già provato in passato a creare una
biblioteca, in qualità di esponente dell’amministrazione Sergi. Al piano terra
della casa comunale dovrebbe esserci una stanza con seimila volumi,
<<nella quale –riferisce D’Apa- si distribuiscono per quanto ne so i
sacchi della differenziata>>. Il binomio libro-rifiuti non è, per dirla
in punta di fioretto, granchè poetico. Il quadro della questione ora è questo:
trentacinquemila volumi in un garage ed altri seimila in una stanza del comune.
Che dire? Sino ad ora Limbadi ha avuto qualcosa di simile ad una biblioteca
grazie alle iniziative, più o meno estemporanee, di D’Apa e dell’ex sindaco
Sergi. Trattandosi di uomini politici, la questione potrebbe nutrire i consueti
teatrini preelettorali, e forse nient’altro. E pensare che nella sua storia la
comunità una biblioteca non ce l’aveva mai avuta. Il Brancia scrive,
nell’italiano del tempo, di Limbadi nel 1850: <<Niuna biblioteca: ma
merita lodevole menzione una buona raccolta di libri chiesastici e di scienze
mediche, duemila volumi circa, che rattrovasi in casa dei signori fratelli
Antonio sacerdote e Antonino medico Saladino>>. Perché un comitato di
ragazzi non si propone di stimolare la nascita di una nuova struttura? Sfruttando
magari proprio la festa di San Pantaleone, con donazioni mirate, rigorosamente
gestite. Anche solo di libri. La Pro Loco che ne pensa? E’ accettabile che un
paese, seppur piccolo, non abbia una sua raccolta di libri, che riguardino
anche la sua storia, vicina e lontana? Magari accanto ai grandi classici della
letteratura, della storia e della scienza? Qualcuno una risposta dovrebbe
provare a darla. Dovrebbe.
Francesco
Tripaldi
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